La tradizione dei tatuaggi in Italia

Dal 29 marzo al 30 aprile 2017 presso la Tatoo Expo di Bologna – una delle fiere più grandi dedicata al tatuaggio – si è svolta l’interessante mostra “Stigmata – La tradizione del tatuaggio in Italia”. In effetti, da diversi anni si assiste in Italia ad una ripresa della moda del tatuaggio, privo delle sue connotazioni più tetre e dei pregiudizi. Si parla di diversi stili di tatuaggio, dei tatuaggi tradizionali, tribali, si pensa ai tatuaggi come un fenomeno culturalmente distante dall’Italia e dall’Europa in genere, ma in realtà esiste anche in Italia una tradizione del tatuaggio e un simbolismo ben preciso: dai tatuaggi religiosi a quelli della nobiltà, dai tatuaggi Lombrosiani a quelli dei criminali e della simbologia camorrista, l’Italia del tatuaggio ha una storia lunga e interessante. Intanto, su vuoi conoscere dove fare i tatuaggi in sicurezza, clicca qui.

Il tatuaggio in Italia

La storia del tatuaggio in Italia è una storia soprattutto legata all’artigianalità, ha avuto un ruolo importante come simbolo religioso e infine è giunto a definire un preciso codice criminale. Nonostante in Italia vi siano diverse testimonianze dell’uso del tatuaggio, molti musei e biblioteche tengono in archivio questa mole di informazioni perché ritenuta culturalmente e antropologicamente secondaria. La tradizione del tatuaggio in Italia non è un “fenomeno di importazione”, ma ha delle proprie origini e radici.

Un primo utilizzo del tatuaggio in Italia è di tipo terapeutico, si riteneva che l’incisione in determinati punti del corpo, come caviglie, spina dorsale, giunture, fosse utile per curare i reumatismi, e si praticava negli stessi punti oggi toccati dal ramo dell’agopuntura. Fino all’800 si riteneva che il tatuaggio avesse funzioni magico-terapeutiche, oltre che estetiche.

Nell’Antica Roma, il tatuaggio era utilizzato come marchio di infamia per riconoscere schiavi e criminali, ma anche soldati e gladiatori lo utilizzavano per identificare l’appartenenza ad una legione in caso di morte in battaglia. Nel tempo, l’uso del tatuaggio ha assunto ragioni religiose o idolatre o come pegno di amore.

In Italia, il tatuaggio religioso ha avuto una particolare importanza a partire dalla constatazione che Dio – quando allontanò Caino – gli pose sulla fronte un marchio affinché tutti lo riconoscessero, ma non lo uccidessero. In seguito, Caino è diventato un artigiano ed è un dato certo che a partire dal 1500, proprio gli artigiani italiani ed europei erano soliti tatuarsi i simboli del proprio mestiere e il tatuaggio era chiamato anche il segno di Caino. In Italia, in particolare, il tatuaggio era in uso tra i pellegrini come segno dell’avvenuto pellegrinaggio in nome di Dio. Inoltre, nel periodo delle Crociate e nell’Alto Medio Evo chi non portava evidenti segni religiosi non poteva essere sepolto in terra consacrata e poiché gli oggetti d’oro o preziosi venivano rubati, nasce l’esigenza di tatuare un simbolo religioso per poter essere riconosciuti. Le due principali mete di pellegrinaggio erano Gerusalemme e Loreto e in questi centri si trovavano i marcatori, ovvero gli odierni tatuatori, che erano degli ambulanti che per segnalare la propria presenza sbattevano gli stampi in legno che tenevano inanellati per attirare l’attenzione. I membri dei vari ordini religiosi erano soliti tatuare i simboli del proprio ordine, mentre i tatuaggi più ricorrenti erano il Sacro Cuore, i crocifissi, i simboli della passione di Gesù, il gallo, la scritta INRI, diversi tipi di madonne, e soprattutto l’arco simbolo di Loreto. Questa tradizione è andata avanti fino al secolo scorso, ma si è sempre oscurato questo aspetto prediligendo il riferimento al tatuaggio tradizionale come appartenente a culture esotiche e di importazione. I tatuaggi religiosi in Italia appartengono alla stessa categoria dei tatuaggi tribali.

Proprio nel ‘700 con l’arrivo dei primi indigeni dalle Isole del Pacifico portati dagli esploratori inglesi, come James Cook, il tatuaggio divenne elemento di attrazione e molti regnanti europei cominciarono a tatuarsi per bellezza, ma anche per esaltare i simboli del proprio potere, così come molti aristocratici amavano tatuarsi i blasoni delle rispettive casate. La stessa Regina Elena di Savoia aveva tatuato sul polpaccio una farfalla e molti membri della sua dinastia continuano la tradizione del tatuaggio blasonato.

Perché il tatuaggio in Italia assume una connotazione negativa?

Una serie di concause ha portato il tatuaggio in Italia ad essere osteggiato e visto con sospetto nonché abbinato a emarginati sociali. Un primo colpo al tatuaggio fu inferto dagli scritti di Lombroso secondo il quale la predisposizione al tatuaggio era sinonimo di selvatichezza, imbarbarimento e comportamento criminale e violento. Lombroso esamina tanto i tatuaggi dei carcerati quanto quelli delle prostitute. Il famoso neo sopra il labbro che è, oggi, un cosiddetto beauty mark, in origine identificava le prostitute. Lombroso riferisce che nei bordelli di Torino, per distinguersi dalle prostitute di strada, quelle di bordello si tatuavano un neo: le etero lo riproducevano sopra il labbro, mentre le lesbiche sotto il labbro. Inoltre, la stessa religione – che in altri tempi aveva accettato il tatuaggio – comincia a opporsi alla pratica ritenuta selvaggia e barbara. Infine, dalla Prima Guerra Mondiale il tatuaggio comincia ad essere associato al tradimento e alla prostituzione, dal momento che molti soldati – che si erano tatuati il nome della moglie – di ritorno dal fronte scoprono che la moglie o si è concessa o si è sposata con altri uomini.

Dagli anni ’20 in poi, il tatuaggio è un tabù; ritorna negli anni ’70, ma lontano dalla tradizione italiana e sull’onda del fenomeno hippy americano.

Oggi, il tatuaggio è diventato un fenomeno comune in Italia, ma spersonalizzato e privo di conoscenze perché il tatuaggio è un linguaggio che bisogna conoscere per non trasmettere messaggi errati. Fino agli anni ’80 occorreva una motivazione forte per fare un tatuaggio, oggi ci sono tanti tatuaggi belli, ma che possono denunciare spesso l’ignoranza del tatuato e del tatuatore (per cui è importante rivolgersi a professionisti come la Scuola Estetica BSA).

Bisogna fare attenzione al linguaggio dei tatuaggi: le rondinelle – un trend tanto amato – in realtà sono un simbolo negativo, in quanto sono carnivore e predatrici. Inoltre bisogna saper distinguere tra rondine maschio e femmina, perché tatuare due rondini maschi significa dichiarare la propria omosessualità. Così come esistono molti tatuaggi legati al codice criminale già ampiamente decodificati da Lombroso che ad ogni reato aveva associato un tatuaggio come svelato dai carcerati stessi: il gatto è simbolo del furto, il farfallino indica a che età si è cominciato a delinquere, il coltello indica l’omicidio o lo stupro e così via.

Al di là del gusto estetico, il tatuaggio resta un elemento antropologico di grande interesse e fascino nonché intrigante e selvaggio legato alla ritualità del sangue.